I dolci marcatori del tempo e delle identità


I dolci occupano un ruolo di rilievo nella rappresentazione della civiltà sarda. Tutta l’alimentazione di un popolo rientra a pieno titolo nella storia della sua cultura, ma i dolci hanno una valenza comunicativa particolarmente forte in Sardegna perché quasi sempre legati a momenti rituali, cerimoniali e sacri.

I dolci sardi sono caratterizzati dalla varietà delle tipologie e dalla raffinatezza delle decorazioni.

Gli ingredienti principali sono formaggio, ricotta, miele, mandorle e sapa (il mosto cotto).

Lo zucchero, dolcificante per eccellenza, non era un prodotto locale: almeno fino al XVI secolo veniva importato dal Continente ed era utilizzato quasi esclusivamente in campo farmaceutico per le sue note proprietà terapeutiche e rinfrescanti. La maggiore fornitrice di zucchero fu dapprima la Sicilia e poi, a partire dalla fine del Cinquecento, le Indie.

Più facile da reperire e soprattutto più economico, il miele rimane in Sardegna il dolcificante più utilizzato, anche perché derivato non solo dall’allevamento, ma anche dai favi selvatici. Le corti giudicali e monastiche avevano al loro servizio esperti apicoltori e funzionari incaricati di controllare gli alveari, esplicitamente citati a partire dall’inizio del XII secolo. La produzione di miele era infatti talmente importante per l’isola che erano frequenti i furti di api e alveari, come testimoniato già nel condaghe di Santa Maria di Bonarcado e nella trecentesca Carta de Logu di Arborea. In quest’ultima si legge che il reato era punito con sanzioni pecuniarie piuttosto elevate e l’obbligo di ripristinare il maltolto; in caso di insolvenza, per il responsabile era previsto il taglio dell’orecchio.

Insieme al miele occupa un ruolo di rilievo come dolcificante la sapa, il denso sciroppo aromatico ottenuto dalla cottura del mosto che i numerosi vigneti sardi fornivano in abbondanza e che era diffuso e frequente sia nelle case dei nobili che in quelle dei più umili popolani.

Il patrimonio dolciario sardo cosiddetto “tradizionale” affonda le sue radici nel Medioevo: tra cucine bizantine, tavole giudicali imbandite a festa e mense di età catalano-aragonese prende forma la cultura alimentare dell’Isola. A queste influenze si aggiungono poi quelle islamiche, toscane, liguri.

Martin Carrillo, inviato da Filippo III a relazionare sulle condizioni della Sardegna, in un resoconto dato alle stampe nel 1612 testimonia della grande passione dei Sardi per i dolci, nella preparazione dei quali erano arrivati a superare gli stessi maestri spagnoli. I dolci, tuttavia, non facevano parte dell’alimentazione quotidiana, ma comparivano solo sulle tavole dei più ricchi e soprattutto in occasione delle numerose festività che scandivano l’anno lavorativo, per importanti occasioni private, per ordinazioni sacerdotali e per giuramenti solenni da parte delle massime autorità dello Stato. Gli ufficiali regi, quasi tutti di provenienza iberica, erano amanti dei dolci, tanto che tra le spese fisse destinate a pagare i ministri che lavoravano per le Corti figuravano le spese per los dulçes. In epoca spagnola non esistevano vere e proprie pasticcerie: i dolci venivano fatti in casa dalle massaie e cotti poi nei forni pubblici. Alcuni artigiani specializzati nella preparazione dei dolci riuscirono però a raggiungere un certo status sociale e ad allargare la propria attività.

Nel Settecento l’ora della conversazione, vero e proprio rito del ceto aristocratico, rappresentava anche l’occasione per assaggiare “dolci in abbondanza”. In questo periodo iniziano a diffondersi le prime pasticcerie, grazie anche all’apertura di caffè a Cagliari e Sassari, dove assieme alla bevanda si potevano gustare biscotti, cioccolatini e altri dolciumi. I primi caffettieri, pasticcieri e cioccolatieri,  erano piemontesi e svizzeri. Pian piano, tuttavia, i Sardi li imitarono e iniziarono ad aprire attività in varie parti dell’Isola. Le botteghe del caffè, inizialmente chiamate cabaretti, servivano, oltre al caffè, alla cioccolata, a confetti, biscotti e sorbetti, anche vini da dessert e liquori dolci, tra cui il moscato e la malvasia, secondo l’usanza delle principali capitali europee.

I caffè-pasticceria come luoghi non solo di consumo di dolci e bevande, ma anche di ritrovo sociale, trovano piena affermazione nei primi decenni dell’Ottocento grazie soprattutto agli Svizzeri. Anche la presenza della corte sabauda a Cagliari durante gli anni dell’Esilio dei Savoia (1799-1814) favorì lo sviluppo dell’arte dolciaria, che si ampliò e specializzò nella produzione di nuovi dolciumi. I biscotti savoiardi, per esempio, che prendono appunto il nome dalla casa regnante, furono introdotti in questo periodo, diventando col tempo prodotti tipici della tradizione sarda.

Tra Ottocento e Novecento gran parte dei paesi europei, tra cui anche l’Italia, conosce il processo culturale definito dallo storico inglese Eric Hobsbawm “invenzione di una tradizione”, ossia la creazione di un insieme di valori atti a creare un senso di appartenenza allo Stato. In Sardegna alla nascita di una memoria collettiva nazionale si affianca lo sviluppo di un’identità più specificatamente sarda che non a caso va di pari passo con l’affermazione di un nuovo campo di studi: quello del folklore, cioè delle tradizioni popolari. La “Società Nazionale per le tradizioni popolari” venne inaugurata il 20 dicembre 1893: sull’organo ufficiale della Società, la “Rivista delle tradizioni popolari italiane”, edita tra il 1893 e il 1895, trovano spazio anche articoli dedicati ai dolci sardi, uno dei quali firmato da Grazia Deledda.

Da bene folkloristico il dolce tradizionale diviene in breve tempo anche bene economico. Nel 1915 nella “Guida storica-artistica-commerciale dell’Isola di Sardegna” di Francesco Corona i dolci sardi vengono inseriti in un discorso di attrazione turistica con l’elencazione di tutte le rivendite in cui è possibile acquistarli e accanto ai vari Caffè Genovese, Milano, Torino, Roma, viene menzionato anche un Caffè Ogliastrino nel centrale Largo Carlo Felice. Una volta superata l’iniziale distinzione tra produzioni dolciarie ed estere all’interno dell’Isola, i produttori sardi puntano a farsi conoscere anche nella Penisola: la Pasticceria Crucco Giovanni di Oristano con gli amaretti e Frau Mau Rita di Iglesias con dolci vari si presentano all’Esposizione nazionale di Torino del 1898 con la speranza di trovare acquirenti esportatori. A dispetto delle prime, significative  forme di industrializzazione alimentare che anche in Sardegna permisero un considerevole aumento delle esportazioni, la produzione dolciaria rimase però a lungo quasi esclusivamente artigianale e in mano a piccoli, se non piccolissimi produttori. Col tempo, tuttavia, il numero di occupati nel settore aumentò sensibilmente e già nel 1926 solo nella provincia di Sassari  erano presenti 18 industrie dolciarie che davano lavoro a ben 250 operai. Contemporaneamente anche in altre parti dell’isola alcune ditte dolciarie iniziarono a diventare un punto di riferimento importante per l’economia locale. Ciononostante l’industria dolciaria non raggiunse mai il successo che a partire dal 1910 conobbe invece l’artigianato sardo, divenuto di gran moda in tutta Italia per il suo primitivismo. Al contrario la produzione artigianale non risentì negativamente neanche della crisi economica internazionale che colpì l’Italia a partire dagli anni ’30.

In Sardegna, dunque, il consumo di dolci rimase sempre legato a occasioni e luoghi particolari. Perfino il grande D. H. Lawrence, che visitò l’Isola nel 1921, riuscì a comprare alcune paste solo a Terranova, poco prima dell’imbarco per Civitavecchia: durante tutta la sua permanenza in Sardegna non gli furono mai offerti dolci, né nelle case private, né nelle trattorie.

Durante la seconda guerra mondiale i razionamenti dei generi alimentari imposero parecchi limiti anche alla produzione dolciaria, con espliciti divieti di produzione di diverse specialità. La lunga tradizione isolana dei dolci, sia di quelli originari della Sardegna che di quelli di “adozione”, rimase custodita nelle cucine domestiche, affidata al sapere femminile. Oggi bisogna rifarsi alla generazione anziana, quella oltre i 60-70 anni, per riuscire ad avere una ricetta che abbia un minimo di attendibilità e non sia stata corrotta con varianti innovative, oppure procedere con ricerche bibliografiche incrociate. Noi abbiamo utilizzato entrambe queste tipologie di fonti e contemporaneamente ricercato storie e curiosità legate ai singoli dolci. Pertanto, se avrete il piacere di continuare a visitare il blog, avrete anche quello di gustare i dolci sapori della memoria sarda.